Psicologo dello Sport o Mental Coach???
Nell’ambito della preparazione mentale per gli sportivi, si osserva una “jungla” di offerte da parte di professionisti del settore con termini a volte fantasiosi: mental coach, coach sportivo, life coach, personal coach, counselor, ecc….
Quale è la differenza? Nel pensiero comune non è chiara, purtroppo, la portata e le possibili conseguenze dell’operato di tali figure.
Proviamo a fare un po' di chiarezza a partire dal percorso formativo, ciò che almeno in teoria differenzia di base la competenza tra professionisti.
Lo Psicologo dello sport, per definirsi tale, deve aver concluso ed ottenuto una laura in Psicologia della durata di 5 anni (presso una Facoltà Universitaria legalmente riconosciuta), un percorso annuale di tirocinio, un master di specializzazione di un anno. Nel caso in cui lo psicologo sia anche psicoterapeuta, come il sottoscritto, vanno aggiunti altri 4 anni di specializzazione presso una scuola certificata con inclusi tirocinio e supervisioni. L’ottenimento della laurea e la conclusione di un anno di tirocinio permettono poi di partecipare ad un esame per poter essere iscritto all’Albo professionale degli Psicologi, gestito e legalmente costituito dall’Ordine degli Psicologi, ente a sua volta organizzato secondo le linee legislative italiane. Stiamo quindi parlando di un professionista nel mondo dello sport che ha una formazione generale e specifica di almeno 7 anni e che è regolata in base a precise leggi e che deve adempiere a precisi obblighi di formazione continua e di comportamento deontologico.
Tutte le altre formazioni e quindi etichette mental “qualcosa” non sono regolate e non obbligate a fare parte di un albo professionale che imponga obblighi formativi, professionali e deontologici. Stiamo quindi parlando di una qualsiasi persona che può “dalla sera alla mattina” apporre una targhetta come preparatore mentale nel proprio studio senza necessità di una particolare formazione, che potrebbe quindi consistere in un corso di qualche mese, come nel caso dei cosiddetti counselor, oppure anche in nessuna formazione specifica. La legge italiana, infatti, non impone criteri particolari per permettere o meno a qualsiasi cittadino di fregiarsi della dicitura preparatore mentale, come mental o life coach. I pericoli insiti nelle conseguenze di interventi sull’aspetto mentale da parte di figure non adeguatamente preparate sono ovvi.
Come banale esempio, mi è capitato di osservare un video su Youtube di un preparatore mentale non psicologo che invitava ragazzini tennisti ad “arrabbiarsi” durante la prestazione sportiva, al fine di essere fisicamente e mentalmente più tesi, aggressivi e “vincenti”….peccato però che a molti atleti per performare al loro massimo sia necessario il contrario, vale a dire distendere la tensione invece che aumentarla. L’assenza di preparazione di tale operatore porta evidentemente a non rendersi conto di questo elementare aspetto, senza considerare la negatività di vivere in questo modo l’esperienza sportiva e senza essere al corrente che esistono altri modi per “attivarsi”.
Tali operatori non psicologi si trincerano poi nell’inflazionata definizione: “il Mental Coach lavora sul potenziale mentre lo Psicologo lavora sul disagio psicologico”. Niente di più falso, in quanto l’eventuale intervento sul disagio psicologico è riservato casomai allo psicologo clinico e non sportivo. Solo lo psicologo si forma ed è competente, in realtà, sui processi mentali di base che sottendono alla prestazione sportiva e si forma come psicoterapeuta nel caso si voglia invece intervenire nelle situazioni di patologia mentale.
Atleta avvisato…mezzo salvato…
Nell’ambito della preparazione mentale per gli sportivi, si osserva una “jungla” di offerte da parte di professionisti del settore con termini a volte fantasiosi: mental coach, coach sportivo, life coach, personal coach, counselor, ecc….
Quale è la differenza? Nel pensiero comune non è chiara, purtroppo, la portata e le possibili conseguenze dell’operato di tali figure.
Proviamo a fare un po' di chiarezza a partire dal percorso formativo, ciò che almeno in teoria differenzia di base la competenza tra professionisti.
Lo Psicologo dello sport, per definirsi tale, deve aver concluso ed ottenuto una laura in Psicologia della durata di 5 anni (presso una Facoltà Universitaria legalmente riconosciuta), un percorso annuale di tirocinio, un master di specializzazione di un anno. Nel caso in cui lo psicologo sia anche psicoterapeuta, come il sottoscritto, vanno aggiunti altri 4 anni di specializzazione presso una scuola certificata con inclusi tirocinio e supervisioni. L’ottenimento della laurea e la conclusione di un anno di tirocinio permettono poi di partecipare ad un esame per poter essere iscritto all’Albo professionale degli Psicologi, gestito e legalmente costituito dall’Ordine degli Psicologi, ente a sua volta organizzato secondo le linee legislative italiane. Stiamo quindi parlando di un professionista nel mondo dello sport che ha una formazione generale e specifica di almeno 7 anni e che è regolata in base a precise leggi e che deve adempiere a precisi obblighi di formazione continua e di comportamento deontologico.
Tutte le altre formazioni e quindi etichette mental “qualcosa” non sono regolate e non obbligate a fare parte di un albo professionale che imponga obblighi formativi, professionali e deontologici. Stiamo quindi parlando di una qualsiasi persona che può “dalla sera alla mattina” apporre una targhetta come preparatore mentale nel proprio studio senza necessità di una particolare formazione, che potrebbe quindi consistere in un corso di qualche mese, come nel caso dei cosiddetti counselor, oppure anche in nessuna formazione specifica. La legge italiana, infatti, non impone criteri particolari per permettere o meno a qualsiasi cittadino di fregiarsi della dicitura preparatore mentale, come mental o life coach. I pericoli insiti nelle conseguenze di interventi sull’aspetto mentale da parte di figure non adeguatamente preparate sono ovvi.
Come banale esempio, mi è capitato di osservare un video su Youtube di un preparatore mentale non psicologo che invitava ragazzini tennisti ad “arrabbiarsi” durante la prestazione sportiva, al fine di essere fisicamente e mentalmente più tesi, aggressivi e “vincenti”….peccato però che a molti atleti per performare al loro massimo sia necessario il contrario, vale a dire distendere la tensione invece che aumentarla. L’assenza di preparazione di tale operatore porta evidentemente a non rendersi conto di questo elementare aspetto, senza considerare la negatività di vivere in questo modo l’esperienza sportiva e senza essere al corrente che esistono altri modi per “attivarsi”.
Tali operatori non psicologi si trincerano poi nell’inflazionata definizione: “il Mental Coach lavora sul potenziale mentre lo Psicologo lavora sul disagio psicologico”. Niente di più falso, in quanto l’eventuale intervento sul disagio psicologico è riservato casomai allo psicologo clinico e non sportivo. Solo lo psicologo si forma ed è competente, in realtà, sui processi mentali di base che sottendono alla prestazione sportiva e si forma come psicoterapeuta nel caso si voglia invece intervenire nelle situazioni di patologia mentale.
Atleta avvisato…mezzo salvato…